STORIA DEL MOVIMENTO ULTRAS IN ITALIA
… Per non dimenticare…
OGNI DOMENICA su questa pagina FB e sul sito/blog

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Venne pubblicata a puntate sulla fanzine "Stile Appiani" nel 2004, ora io la pubblico, sperando di fare cosa gradita, a puntate OGNI DOMENICA su questa pagina FB e sul sito/blog, www.magicfans.it

PRESENTAZIONE
Quando parliamo di "Ultras" in Italia, parliamo di qualcosa che, piaccia o meno è finito. Oggi, possiamo definire i ragazzi che frequentano le curve come "tifosi di curva", o "curvaioli"; comprendendo in questo insieme tifosi e casinisti, vecchio stile e "casuals". Chiunque a vario titolo frequenti la curva. Ma parlare di ultras ormai è anacronistico; e questo da molto prima di Raciti, da quando le curve ed i gruppi hanno cominciato ad autodistruggersi per lotte di potere interne, per politica, per interessi privati.

MOVIMENTO ULTRAS IN ITALIA – META’ ANNI ’90
PAY-TV - DIFFIDE E CARO-STADIO

 

 

 

Nella seconda metà degli anni ’90, entrano in scena altri elementi che contribuiscono a creare nuove difficoltà al movimento. Basta indicarne tre: pay-tv, diffide e caro-stadio.

Una miscela formidabile che isola gli ultras, relegandoli ai margini di una società, che, generalizzando, vede in loro i principali nemici del calcio. Le tv a pagamento hanno, innanzitutto, trasformato il calcio da sport popolare a sport d’élite; in secondo luogo, la loro diffusione nei bar e nei locali pubblici ha allontanato la gente dagli stadi, soprattutto da quelli delle serie minori, minacciando la stabilità dell’intero panorama ultrà e creando guai seri alle stesse società.

Le diffide rappresentano un secondo fattore di crisi per il fenomeno. Alcune tifoserie sono “perseguitate” dalle istituzioni, che le privano dei loro leader credendo di placare la violenza negli stadi, ignorando che questa subentra proprio quando manca una guida.

Anche su questo punto, come già era avvenuto in occasione di episodi di violenza, i gruppi organizzati, tralasciando le rispettive rivalità, decidono di unirsi per fronteggiare la situazione e fanno quadrato attorno ad alcune iniziative comuni: nel 1999, in tutte le curve d’Italia compare, per alcune domeniche consecutive, uno striscione polemico “Libero cittadino? No, ultras!”, per rimarcare la difficile condizione di questa tipologia di sostenitore.

L’ultimo nemico dell’ultrà, in ordine di tempo, è l’aumento dei prezzi dei biglietti. Il calcio è diventato ormai un vero e proprio business, dove il giro di miliardi è impressionante e sempre più lontano dall’originario carattere romantico e popolare dello sport.

Cifre esorbitanti, che si riflettono in modo negativo anche su chi contribuisce a tenere in vita questo giro d’affari, ovvero tutti gli spettatori e gli appassionati. Il caro-stadio ha allontanato molti giovani dagli stadi; in situazioni in cui un biglietto in curva può venire a costare anche intorno alle 45 – 50mila lire, il crollo delle presenze è inevitabile.

Alcuni ultras hanno provato a ribellarsi, attuando una polemica dolorosa, ma necessaria: è capitato, infatti, che durante una trasferta, dopo centinaia di chilometri e parecchie ore di viaggio, una tifoseria decidesse di rifiutare di pagare un prezzo troppo alto, rinunciando alla partita della propria squadra. Si tratta certamente di un segnale molto forte, che sembra però, non aver portato ad alcuna soluzione.

In un sistema di grandi cambiamenti come l’avvento della pay-tv e da una forte presa di posizione delle forze dell’ordine e dello Stato nei confronti degli ultras, il proseguimento dei raduni mostrava come fosse presente nella coscienza degli ultrà la pericolosità di quel momento storico che sembrava potesse portare anche alla loro estinzione.

Si comincia a parlare di “calcio moderno”, le tifoserie si schierano contro la nuova tipologia di tifo che vede il sopravvento della pay-tv, il progressivo frazionamento delle partite e le maggiori restrizioni nel poter accedere agli stadi sia in casa che in trasferta ma la cosa più rilevante è che l’entità dei gruppi ultras inizia a mutare. La curva viene gestita con un aspetto sempre più manageriale e sempre meno legato alla mentalità ultrà che trovava le sue origini negli anni ’70.

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