STORIA DEL MOVIMENTO ULTRAS IN ITALIA
… Per non dimenticare…
OGNI DOMENICA su questa pagina FB e sul sito/blog

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Venne pubblicata a puntate sulla fanzine "Stile Appiani" nel 2004, ora io la pubblico, sperando di fare cosa gradita, a puntate OGNI DOMENICA su questa pagina FB e sul sito/blog, www.magicfans.it

PRESENTAZIONE
Quando parliamo di "Ultras" in Italia, parliamo di qualcosa che, piaccia o meno è finito. Oggi, possiamo definire i ragazzi che frequentano le curve come "tifosi di curva", o "curvaioli"; comprendendo in questo insieme tifosi e casinisti, vecchio stile e "casuals". Chiunque a vario titolo frequenti la curva. Ma parlare di ultras ormai è anacronistico; e questo da molto prima di Raciti, da quando le curve ed i gruppi hanno cominciato ad autodistruggersi per lotte di potere interne, per politica, per interessi privati.

MOVIMENTO ULTRAS IN ITALIA – PRIMI ANNI ’80
IL DOPO-PAPARELLI E L'ETA' DELL'ORO

Gli ultras stessi, passato il momento difficile, tornarono più forti di prima, e nel decennio che andava a cominciare si affermarono definitivamente. In seguito al trionfo della Nazionale Azzurra ai mondiali di Spagna nel 1982 ci fu poi un vero e proprio “boom” della passione calcistica (peraltro già forte prima).
Le fila dei gruppi ultras si ingrossano, il fenomeno arriva anche a Sud, dove prima era appannaggio soltanto delle grandi città, e dove la passionalità della gente fa si che venga ben presto colmato il divario con le tifoserie del Nord. Ogni squadra di ogni città, dalla A alla C2 e molto spesso anche nelle categorie minori, ha il suo fedele seguito di ultras; mentre nelle città che hanno dato vita al movimento, gli aderenti ai gruppi diventano centinaia, a volte anche migliaia.
L’organizzazione è ancora “ruspante” sotto molti punti di vista: le uniche entrate arrivano dalle collette e dalle prime forme di tesseramento, le coreografie sono ancora i fumogeni recuperati dai treni, in trasferta ci si appoggia ancora (fino ai primi anni ’80) ai clubs di tifosi, e molti stadi (soprattutto nel meridione) sono assolutamente da evitare.
La violenza, nonostante i buoni propositi del periodo post-Papparelli, non accenna a diminuire (anzi!) e la polizia nei primi anni del nuovo decennio è ancora latitante: “Fino al 1985, il servizio d’ordine allo Stadio Appiani per una partita normale di serie B, era composto da una camionetta di carabinieri posizionata nei pressi della Curva Nord, ed una camionetta di carabinieri posizionata nei pressi della Curva Sud. La scorta per le tifoserie ospiti non era prevista, eccezion fatta per le partite contro Vicenza e Triestina, le uniche considerate a rischio, il cui servizio d’ordine era composto da un pullman di carabinieri,ed i tifosi ospiti venivano scortati dalla stazione allo stadio e viceversa da un paio di volanti. In totale, circa una sessantina di carabinieri per partite che all’epoca richiamavano 12-13.000 spettatori” (dalle parole di un ultras biancoscudato dell’epoca).
I “modelli” degli ultras nostrani rimangono gli hooligans d’oltremanica (che nel 1980 faranno la loro passerella ai Campionati Europei in Italia), e proprio sul loro esempio molti gruppi nostrani si faranno un nome basandosi sulla propensione allo scontro, su tutti gli interisti (protagonisti di un’autentica battaglia con i romanisti nel 1981, con oltre venti giallorossi feriti per colpi da arma da taglio), atalantini e veronesi.
Gli ultrà della Roma invece sono molto più propensi al vandalismo gratuito (furtarelli e danneggiamenti vari) che non allo scontro vero e proprio, ma in qualche maniera sono un punto di riferimento anche loro: per il tifo innanzitutto, ineguagliabile sotto tutti i punti di vista; e per la capacità di muoversi in massa ovunque e terrorizzare (quando anche non mettere a ferro e fuoco) intere città. Il loro atteggiamento “zingaresco” darà origine ad incidenti gravissimi con i tifosi fiorentini nel 1983, in seguito ai quali diversi arresti colpiranno esponenti di spicco della Curva Fiesole, decretando di fatto lo scioglimento del gruppo storico degli “Ultras”.
Le tragedie non finiscono di funestare il mondo del calcio: nel febbraio 1983 Stefano Furlan, ultras della triestina, muore in seguito al pestaggio da parte di un’agente di polizia dopo il derby di Coppa Italia contro l’Udinese, diventando così idealmente una delle prime vittime della repressione (che verrà ben conosciuta da tutti solo molti anni più tardi). L’anno dopo un tifoso rossonero, Fonghessi, muore prima di Milan-Cremonese accoltellato da un “collega” appena maggiorenne, che lo aveva scambiato per un tifoso grigiorosso a causa della targa della sua auto.
La nuova ondata di violenza preoccupa e non poco, ed in molte città i clubs di tifosi cominciano a prendere le distanze dai gruppi ultras, togliendo loro in pratica appoggi logistici ed economici, soprattutto per quanto riguarda le trasferte.
Ciò porterà ad un nuovo salto di qualità da parte del movimento ultras, più che altro a livello organizzativo: la “colletta” di un tempo non basterà più, si cominceranno a stampare adesivi, magliette e le prime sciarpe col logo ed il nome del gruppo. Inoltre i ragazzi che appartengono ai gruppi ultras posseggono un’”arma” che non è certo appannaggio dei clubs: il senso del gruppo, dell’amicizia, il cameratismo… Tutte cose che fanno si che un’intera generazione di giovani si coaguli intorno alle curve, da cui piano piano verranno sfrattati i clubs. Gli ultras stanno vivendo la loro “età dell’oro”….

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L'HEYSEL e LA CELERE